martedì 24 febbraio 2009

Civilisation

Nonostante il poco piacere che abbiamo nel proporre, in guisa di spiegazione, delle metafore, la civilizzazione può essere paragonata senza troppa inesattezza al sottile strato verdastro - magma vivo e detriti vari - che si forma sulla superficie delle acque ferme e si solidifica talvolta in crosta, finché un sommovimento non venga a sconvolgere tutto. Tutte le nostre abitudini morali e le nostre pratiche di buona educazione, tutto questo manto di colore fresco che vela la crudeltà dei nostri istinti pericolosi, tutte queste belle forme di cultura di cui andiamo tanto fieri - poiché è grazie ad esse che possiamo dirci "civilizzati" - sono pronte a svanire al minimo turbine, a rompersi al minimo urto (come lo specchio tenuto da un'unghia il cui smalto si stacca o si scalfisce), lasciando apparire negli interstizi lo spaventoso stato selvaggio, rivelato dalle crepe, come dovrebbe essere l'inferno nei terremoti, quando quelle rivoluzioni d'ordine cosmico fanno scoppiare la fragile pellicola della periferia terrestre e denudano momentaneamente il fuoco centrale, il cui ardore cattivo e violento mantiene allo stato liquido persino le pietre. Non passa giorno in cui non rileviamo qualche segno premonitore di una simile catastrofe, di modo che possiamo veramente dire non di danzare o di restare in piedi su un vulcano, ma che tutta la nostra vita, perfino la nostra respirazione sia legata alla lava, ai crateri, ai geyser ed a tutto ciò che si avvicina ai vulcani, e che di conseguenza essa deve essere capace, appena le si accosta uno specchio abbastanza spesso e dalla superficie sufficientemente sensibile, di tracciarvi delle grandi linee dai colori solforosi.
Un'unghia femminile rossa ed appuntita come una zanna di rubini (ci si stupisce che il sangue sia rimasto in mezzo e non sulla punta) unita alle ferite delle pietre preziose tagliate per mezzo di utensili acuti e duri che scalfiscono il minerale e lo riducono ad una costellazione di angoli a loro volta micidiali, un atteggiamento che improvvisamente si lascia andare, un gesto fugace commovente come la vela che d'un tratto si gonfia su un mare che comincia a schiumare, ecco dei segni preziosi che ci fanno capire meglio a che punto ci avviciniamo ai selvaggi, i nostri ornamenti vari di drappi e tessuti scuri o accesi non sono per niente diversi dai costumi fatti di pelli e di piume, dove sottostanno tatuaggi che disegnano misteriose avventure sui corpi, come la scrittura degli astri che che dà il pronostico aereo degli avvenimenti umani...
Siamo stanchi degli spettacoli eccessivamente insulsi e che non portano a nessuna insurrezione, in potenza o in atto, contro la divina "buona educazione", quella delle arti che chiamiamo "gusto", quella del cervello che nominiamo "intelligenza", quella della vita che designamo con la parola dall'odore polveroso di vecchio fondo di cassetto: "morale". Ci sbaglieremmo qualificandoci come uomini vissuti, ma il fatto è che ne abbiamo abbastanza di questi intrighi sempre uguali, presi in prestito dal nostro modo di vivere, ogni giorno più screditato, e che non ci basta agire in un modo equivalente a quello, per esempio, di quei selvaggi che pensano che il miglior utilizzo possibile di un palo telegrafico sia di trasformarlo in freccia avvelenata (poiché non è forse pressappoco ciò che facciamo noi quando facciamo diventare una maschera o una statua costruita con degli scopi rituali precisi e complicati un volgare oggetto d'arte - ingiuria infinitamente più sanguinosa che quella fatta alle invenzioni europee dai già citati selvaggi, perché essa si attacca ad una mistica fatale e grave, e non a questa telegrafia, frutto di una scienza che non disprezzeremo mai abbastanza?) Siamo sazi di tutto ciò, ecco perché ci piacerebbe tanto avvicinarci in maniera più completa alla nostra ancestralità selvaggia, ed apprezziamo quasi soltanto ciò che annienta in un solo colpo la successione dei secoli e ci pone, del tutto nudi e spogliati, davanti ad un mondo più vicino e più nuovo. […]

M. Leiris, Civilisation, in Dictionnaire Critique, "Documents", 1929 

Nessun commento: