giovedì 31 marzo 2011

Maria

Mia nonna aveva smesso da tempo di guardare le cose. Era cieca da un occhio, e dall'altro non vedeva bene, né da vicino né da lontano. Cieca del tutto, forse. Chissà. Però ti sfidava: aiutami a far passare il filo in questo ago, che non riesco proprio; e non ce la si faceva, nessuno di noi. Lei, con gli occhi delle mani, ti insegnava come fare.

Vedo tutti intorno piangere disperati. Sono arrivato di corsa da Siena: sono stato fortunato, il dolore non mi ha toccato troppo. Solo salendo verso il mio paese, man mano che mi avvicinavo alla sua casa, ho sentito qualcosa dentro; come se la morte fosse più vera via via che si la distanza tra me e lei diminuiva. Ho pianto solo abbracciando il babbo – un genitore in lacrime è una cosa che non vorremmo mai vedere.

Emma, Emma, sii felice perché quando sei nata non avrei mai pensato di vederti crescere tanto così, sei una signorina adesso e solo poco tempo fa non eri che una bambina piccola piccola nelle mie mani vecchie e nodose, quelle mani che alzavi verso di noi, a mezzo busto, per redarguirci e dirci di studiare studiare, di farlo per noi e non per altro, per il nostro futuro, nonnina cara.

Io odio la morte. Ammazzerei chi l'ha inventata, dice mio zio seduto sulla poltrona. Non sa se sia giusto o meno piangere per la mamma morta appena da tre ore, e non lo sa perché ci siamo noi. Ha visto morire il babbo e anche allora disse la stessa cosa. È una frase fatta, credo.

Nel secondo cassetto del canterano c'è tutto per il mio funerale, dicevi. C'era ben altro: l'insegnamento di quelli che noi consideriamo senza futuro perché crediamo che non l'abbiano per la loro età, che considerano invece il futuro degli altri e quindi ne hanno più d'uno. Come hai fatto a darci tanto? Che fretta abbiamo di risparmiare quattro misere lire e di ritrovarci ugualmente senza niente.

Il giorno avanti mi aveva detto di non riuscire a cucinare bene il risotto coi carciofi: il riso era faticoso da girare nella pentola, e come pulire tanti carciofi? L'indomani ti ha ammazzato la fatica di metterti un calzino.

Farà la morte del pulcino, senza un lamento, senza un dolore. Quella vena è ormai troppo dilatata. Così quattro anni fa il medico.

Perché tanto a lungo, se non per noi?

Mia nonna non era una vecchia, era mia nonna, e per questo non sarebbe mai dovuta morire. Non ho mai visto una vecchia bella come mia nonna, sana come mia nonna. Parlo così perché era mia nonna, è chiaro.

Fatti dare venti euro dal babbo, che poi glieli rendo. No, nonna, me li dai un'altra volta, magari quando parto per il Portogallo, va bene? Va bene.

La zia piange perché non l'aveva ringraziata ancora di averle rammendato tante calze, ma piange perché sa che dicendo a tutti di stare tranquilli mente anche a se stessa.

Aveva sempre voluto non dare fastidio, sempre voluto non disturbare. È morta di mattina, senza che nessuno si sia dovuto svegliare di soprassalto. Non si è ammalata gli ultimi tempi, come una donna di novanta anni dovrebbe a buon titolo fare. Non ha neanche perso un colpo, la testa era tutta lì, per lei ma per noi, altrimenti chissà come saremmo finiti. Aveva preparato delle bustine con i regali per mia sorella e mia mamma, che fanno gli anni in quei giorni. Sapeva ogni cosa che le serviva sapere.

Prima di morire si è lavata tutta, come fosse un rito preparatorio. Sarà stata triste solo per doversi presentare al Creatore con i capelli fuori taglio: non che fosse una vanitosa, ma mi ha insegnato, tra le tante cose, che bisogna apparire rispettabili, oltre che esserlo. Mangiare composti, vestire puliti ed essere educati. L'ho delusa, chissà. Comunque lassù non faranno tanto caso a queste cose, per lei, per me.

Alla fine sono morta di martedì, avrei preferito un altro giorno.

Tutti si affannavano perché tu ti riposassi, e invece niente, pesavi come un merlo, e sempre ad arrampicarti su in soffitta, oppure andavi in cantina rischiando grosso ogni volta che scendevi in strada - le rare volte che lo facevi, si capisce. Ti avevano tolto le chiavi della rimessa perché così saresti rimasta al sicuro in casa, dove sei morta nel tuo letto. Non penso che la mia serenità sia ingiusta: hai vissuto bene, più che tanto. Mi strania pensare a come avevi maturato un rapporto verso le cose che non era usarle, ma lavorarle, specie nel tuo piccolo regno domestico. E ancora mi chiedo quali fossero gli appigli immaginari a cui ti appoggiavi per percorrere il lungo corridoio senza passamano che porta all'ingresso.

Bof, avresti riso ancora delle mie ironie, discretamente. Ora non più, è un peccato che ti abbiano tolto da noi.

venerdì 18 marzo 2011

Sono stanco


Sono stanco, è chiaro,
perché c'è un momento in cui bisogna essere stanchi.
Di cosa sia stanco, non so:
a niente mi servirebbe saperlo,
perché la stanchezza resta uguale.
La ferita duole per come duole
e non in funzione della causa che l'ha prodotta.
Sì, sono stanco,
e un po' sorridente
che la stanchezza sia solo questo -
bramosia di sonno nel corpo,
desiderio di non pensare all'anima,
e su tutto una trasparenza lucida
dell'intelletto retrospettivo...
E la sensualità unica di non aver più speranze?
Sono intelligente; ecco tutto.
Ho visto molto e inteso molto di quello che ho visto,
e c'è un certo piacere anche nella stanchezza che questo ci dà,
che in fondo la testa serve sempre a qualche cosa...
 
Tamara de Lempicka, La dormiente  
Álvaro de Campos (1890 - 1935)
testo originale qui

Il Tago è più bello del fiume che scorre nel mio villaggio

Il Tago è più bello del fiume che scorre nel mio villaggio,
ma il Tago non è più bello del fiume che scorre nel mio villaggio,
perchè il Tago non è il fiume che scorre nel mio villaggio.
Il Tago ha grandi navi,
e in esso naviga ancora,
per quelli che vedono in tutto ciò che non c'è,
la memoria delle navi.
Il Tago scende dalla Spagna,
e il Tago entra in mare in Portogallo.
Tutti lo sanno.
Ma pochi sanno qual è il fiume del mio villaggio
e dove va,
e da dove viene.
E per questo, perchè appartiene a meno persone,
è più libero e più grande il fiume del mio villaggio.
Dal Tago si va per il Mondo,
oltre al Tago c'è l'America.
e la fortuna di quelli che la trovano.
Nessuno ha mai pensato in quello che c'è oltre
al fiume del mio villaggio.
Il fiume del mio villaggio non fa pensare a niente,
chi sta sulla sua riva sta solo sulla sua riva.

Alberto Caeiro (1889 - 1915).
Originale, per esempio, qui.

sabato 12 marzo 2011

D'avorio e oricalco

"Perché io non voglio avere a che fare con gente che non capisce le citazioni da Battiato!"

E vale anche il contrario.