domenica 4 luglio 2010

Perchè penZare e pensare non sono la stessa cosa

Oramai sono abituato all'idea che penZo: la stessa parola non riesco ad immaginarla scritta diversamente, con grave pregiudizio della correttezza grammaticale - a volte vituperata, altre invocata - che è socialmente accettata.

Molto spesso, nella critica, riceviamo alcune impostazioni che vengono viste come strutture separate, diverse tra loro, che utilizzano però gli stessi mezzi di valutazione: le analogie, lo stile nella tradizione e la vicinanza/distanza dal canone, le figure retoriche. I movimenti artistici a cui un'opera fa capo, e quelli da cui si allontana. Le vite degli altri - autori, lettori, critici e chiunque abbia influenzato con la sua esistenza la fruizione dell'opera, attivamente o passivamente. In pratica, le strutture della critica tradizionale si assomigliano tutte per una base teorica comune; e non vale la pena definirla come Accademia, poichè entreremmo in una polemica che non serve ai fini del significato di queste saltuarie Z. Esse si chiamano fuori da dibattiti, essendo solo suggerimenti.
Cosa vogliono dire queste Z, allora? Non è un semplice vezzo, tanto per incominciare. Non è una provocazione, perchè la considerazione che sta alla base è quella di una libera scelta: e la libertà non dovrebbe mai - almeno idealmente - essere una istanza di contrarietà.
Le forme che, grazie a questa idea, vengono esibite (ed in un certo qual senso sfruttate) sono invece strettamente legate alla sostanza che si vuole far passare attraverso il segno; una sostanza che suggerisce l'idea che esistano altri punti di vista, altri luoghi di osservazione della realtà, magari meno privilegiati ma non per questo meno validi o importanti.
Vorrei portare due riflessioni che possono aiutare la comprensione di queste apparizioni.
Prendiamo una Z: essa è, graficamente, l'esatto opposto della S che va a sostituire. Non solo è una S al contrario, ma anche la struttura sinuosa di questa si contrappone a quella più spigolosa, netta e precisa, dell'altra. La forma comunemente considerata corretta, dunque, può assimilarsi alla forma di pensiero generale; la forma in cui appaia la Z è strana e straniante non perchè semplicemente errata, ma perchè in essa si presenta un segno opposto in tutto e per tutto a quello che ci si aspetterebbe. Esso ci invita a ripercorrere i nostri ragionamenti e le nostre idee mettendocele dinanzi: ma non nella maniera in cui in un primo momento, per la nostra formazione, li abbiamo osservati; piuttosto, essi ci vengono presentati a ritroso, e soprattutto da un punto di vista diverso. Opposto, che non vuol dire al contrario. Un Si penZato non è un No, è un iS.
Questo dovrebbe aiutarci a capire che uno degli spunti che sta alla base del penZiero è proprio che non esistono relazioni di opposizione logica nella critica e, prima ancora, nel pensiero; ma che dovremmo trattare certi argomenti considerandoli nella loro materialità, nella loro tridimensionalità. Del resto, si tratta di una rappresentazione dell'opera molto più vicina alla realtà che alle speculazioni teoriche, e dovrebbe essere suggerita naturalmente nell'insegnamento.
Concetti come la cronologia, come la relazione di causa ed effetto, smentiti dalla scienza contemporanea, dovrebbero essere applicati nella critica dell'opera con una scioltezza che, onestamente, è invece assente.
Quasi sempre - e questo è la seconda, più breve, riflessione che è conveniente fare - la Z appare in sostituzione della S quando c'è ambiguità nel suono che il segno rappresenta. La S abusa della sua sinuosità per insinuarsi dove la sonorità richiederebbe la Z; utilizzare la Z per ricalcare la pronuncia effettiva - o meglio ancora: possibile - di una parola è una maniera per rivendicare l'esistenza di piani di pensiero distinti che si possono inserire in un solo concetto portando a piani di verità diversi.
Rosa o RoZa, Cosa o CoZa: l'oggetto grafico acquisisce una potenza maggiore tanto maggiore è l'indipendenza dal pensiero dominante e dai vincoli della correttezza grammaticale.

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