sabato 31 gennaio 2009

(Ding!)



La costante visione del mondo
rende apparentemente insensibili le anime sensibili
Anime: non altro che
nasi che odorano
occhi che osservano
mani che toccano
cani che camminano: i cani camminano
i piccioni cagano
la bocca:
La costante visione del mondo

giovedì 29 gennaio 2009

Omaggio al Ding (nel silenzio)

Un insieme di solitudini: la sala di una biblioteca.
Lettura silenziosa di testi molto —o poco— letti, quotidiani, romanzi, poesie, fotocopie, quaderni di appunti, fogli sparsi.
Migliaia di penne, lapis, matite e parole.
Computer portatili connessi su messenger, motori di ricerca, pagine di posta elettronica, youtube, facebook e la faccia di Rousseau su wikipedia.
Mani che scrivono.
Vedi teste chine o occhi curiosi e pensatori. Senti bisbigli di voci, qualcuno sorride e si guarda protetto da una parsimoniosa volontà di nascondere una complicità che non ha bisogno di vergogna. Senti sghignazzi maliziosi.
Facce interessate, occhi che decifrano lettere, parole, frasi: concetti da memorizzare, forse. Occhi stanchi dietro lenti sporche; qualcuno guarda il grande orologio appeso alla parete, uno invece cammina leggiadro per il corridoio con i libri in mano in cerca di un posto.
I rumori di sottofondo accompagnano la lettura: una porta che si chiude, schiamazzi lontani che rompono la noia, mani che sfogliano libri. Un lieve soffio di vento solleva il mio foglio scritto solo per metà: il mio vicino ha cambiato pagina. Il rumore del cellulare che vibra sul tavolo simula il rumore proibito di un peto, se arriva uno squillo o un messaggio. Altrimenti si sentirà un “pronto” al di là della porta a vetri che separa il silenzio dalla vita.
La pazza che riflette a voce alta, con quei capelli incredibilmente sporchi appiccicati alla cute. Il pazzo pavido che affondato nel suo enorme piumino vaga in cerca di un gran bel libro di parole da leggere.
La distratta diversità della solitudine di un luogo silenzioso per obbligo; un posto in cui sembrerebbe tutto calmo, ma che nella sua quiete apparente dimostra con estrema freddezza che silenzio e normalità non sono altro che le scontate illusioni di quei poveretti che, irritati, continuano a sbuffare un nervoso: “sc!”

M.M.

martedì 27 gennaio 2009

Caso_

Non ho mai creduto davvero che esistesse il caso. Penso di aver riflettuto molto su come gli eventi si susseguano in maniera tale che tutto ciò che è accaduto è stato solo per portarmi a vivere questo momento.

Con questa idea sono tornato a casa, dopo aver visto per (quello che uno chiamerebbe, non essendolo) un puro caso un’esposizione temporanea al Centro Culturale di Belém. Avevo giurato che il Centre Pompidou sarebbe stato il mio ultimo museo, la collezione definitiva; alcuni, saputo del giuramento, mi hanno accusato di non essere abbastanza risoluto quando ho accettato di fare due passi al Museo di Arte Antica per vedere come i diavoli tentavano Sant’Antonio (l’altro). Colpito dai sensi di colpa e perché volevo dimostrare che sono capace di starmene almeno un mese saldo nelle mie risoluzioni, ho cercato un’alternativa a quelle stanze buie dove trasudano noie post-rinascimentali e, a dirla tutta, pure tanta incapacità. Non sono riuscito a rifiutare la gita nei sarcofagi dell’arte, ma il giorno dopo, preso spunto da quelle alternative non considerate, sono andato a vedere l’esposizione della collezione fotografica del BES (una banca, mecenate immateriale); niente di che, nulla che non si fosse già visto ma molte cose che fa sempre bene rivedere. Accanto, zitta zitta, la vera esposizione che mai avrei visitato – se non per una casualità.


Opere di gente molto divertente che avrebbero risolto diverse serate, tra cui spicca un’artista, Vieira da Silva. Hanno già scritto e detto molte cose sulla persona, e sull’opera. Io non lo sapevo, non la conoscevo (ma se è vero che non voglio neanche sapere se sia esistito un uomo prima di me, varrà pure per le donne).


Mi ha commosso il disperato tentativo, a tratti limpidamente riuscito, di dare un sentimento alla prospettiva. Non di avere una prospettiva dal sentimento; non si parla di punti di vista. Quello che lei ricerca nell’opera è proprio il significato artistico della prospettiva, senza alcun tipo di formalismi dell’organizzazione dello spazio. Prova a dare un valore artistico alle relazioni mere, utilizzando lo spazio della tela come vera finestra sull’io che interpreta soggettivamente la materia e lo spazio; e mentre rappresenta la relazione artistica, la crea. Gli schizzi, gli studi preparatori sono esemplari ed elucidanti.


Un’altra cosa va notata: la raffigurazione della massa. Della folla, si intende; una sineddoche non banale (perché l’uno della moltitudine di per se lo è divenuto) nella quale lo studio del sentimento della prospettiva cede il posto alla rappresentazione della coscienza. Come è stato scritto da altri, la coscienza è la dimenticanza tanto come il ricordo è memoria. La prima lavora per cercare di cancellare tutto ciò che ci può sorprendere, e questo, senza essere minimamente negativo (sempre che abbiate anche voi una morale provvisoria), si risolve nell’unità della folla di Vieira da Silva, un insieme che vive e muore assieme nella Rivoluzione Francese così come nella Guerra Mondiale. Per questo la città contemporanea non è il mostro agglomerante che spesso si pensa, ma è una comunità accogliente - per chi voglia delegarsi.


Questa riflessione mi si è presentata dopo che, per caso, ho letto Benjamin.

lunedì 26 gennaio 2009

Olhar

Parece quase que quis esquecer das palavras, das imagens, do espelho que olhava p’ra si como se fosse outra pessoa.

Às vezes é preciso não pensar, pensava. Ao mesmo tempo pensava contradizendo o em que acreditava. Outras vezes é preciso dizer disparates até a boca se secar por necesidade de vinho ou de outra coisa qualquer. Beber tudo o que há, -se for vinho é melhor!- gritava.

Gritava no pensamento, graças à sua cabeça cheia de bichos podres. Era o que ele pensava de si, do que há entre a intrioridade mais próxima ao corpo. Para não pensar é preciso viver nesse limbo e lutar contra as vozes más que são, deveras, as borboletas da cabeça.

A sala estava cheia e ele olhava para si mesmo. As vozes eram cantos singelos de sonhos irrealizados. O seu sonho, naquele momento, era o de ganhar o Euromilhoes. Era o que queria mais na vida. Sonhos pequeninos para homens que sonham só com o dinheiro. Dinheiro e riquezas e um lugar no mundo onde não é preciso trabalhar. Oxalá se também fosse com gajas a servir refrigerantes…que bom, meu!

Ninguém sabe para quem trabalha.

Que bom se a vida fosse só flores e ondas no mar, se fosse só cús e mamas jovens.

A pega, minha vizinha, robou-me todo o dinhero,ou foi eu que lho ofreci com muita vontade?

Ela pensou que mo tinha roubado porque lhe dei mais do que é costume e isso aconteceu porque naquele dia estava particolarmente apaixonado pelas suas formas que já sabiam de velhice.

Gostava de corpos velhos e cansados por causa de trabalhos que nunca foram fadigas e que são das mais antiguas manções que a mulher cumpriu na vida.

Vender o corpo é normal, é costume, é uma das coisas mais lindas, as vezes paixonal, outras assim mais indiferentes, outras nojentas que até vomitam sozinhas, outras que nem parece verdade. A cama é o espelho do irrealizável, a união é disjunção de corpos;

é por causa disso que as pessoas odeiam-se, porque não conhecem as camas do mundo. A almofada é que conta?

E ele continuava a ficar sentado.



M.M.

Nas.O2

Non c'è bisogno di passare dalla piscanalisi per interpretare la mia ossessione per i nasi.
I nasi a patata, i profili greci, quelli aquilini, i nasi rotti.
Stin stin.

La voluttuosità di un naso che respira, fonte di vita per l'organismo. 
Mezzo per cui l'aria invisibile porta dei nutrienti ad un corpo che vediamo e tocchiamo.
Processo alchemico di cui è il punto di partenza.
Magia dell'ossigeno, trasformazione dell'aere in vita.
 Sporgenza del viso, caro naso! 
Ti voglio bene.


giovedì 22 gennaio 2009

Il mondo va avanti

La Signora Carlo ha ieri deposto il suo primo uovo, tante congratulazioni. Chissà com'era imbarazzata!

Ecce ovo

Ho un cerchio alla testa, stasera.


Era ora, credo, che le nostre corrispondenze private fossero rese pubbliche. E non parlo solo di quello che abbiamo visto a Vidual, e di quello che ci siamo scritti poi.

Ma perchè, poi? Per una ragione molto semplice: siamo stanchi di tanto rumore, di tanta gente che parla a voce alta. Noi siamo sicuri che quello che diremo non passa attraverso l'intensità della voce, ma scorre fluidamente tra le pieghe dei discorsi che facciamo. Per esempio quest'ultimo discorso, chi lo deve capire l'ha capito; ma forse l'ha capito male anche chi non lo doveva capire. Quando mi metterò di nuovo quella sua polvere nera, se non l'avesse ancora capito?

Noi di solito siamo gente che è per la chiarezza - nessun conflitto di interessi con la mia co-bloggher, io lo ero anche prima di conoscerla - attraverso un modo di esprimerci rigoroso quale è il nostro.


Ci piace proprio prenderci in giro, anche perchè voi sarete convinti che parliamo di noi e invece ci facciamo grasse risate su di voi così come passate nei nostri sogni - ma con molto rispetto per ciascuna individualità vera, e sempre seguendo una filosofia che altri ben più noti hanno sviluppato.

Ho giocato bene a carte, con una posta più bassa di quanto meritasse l'azzardo.
(No, no: niente di così ermetico, almeno non continuamente e sempre ben mescolato con le carte, vorrei dire le frasi, più facilmente spendibili.)

ma proprio bassa, eh

Mi spiego: io ho sempre avuto una certa paura del linguaggio. E l'ho detto anche da altre parti, senza contare le lezioni che tengo quasi ogni sera alla nobilissima Associazione di Pazzi e Sognatori, in una delle traverse di Rua da Rosa. Ma lì dico anche che, come con il Diavolo (o con Dio), alla fine tocca farci i conti per forza, siamo fatti così, mesmo, e allora tanto vale prenderlo in giro, questo diavolo di linguaggio. Se poi ci scappa il morto (fuori dalla metafora delle carte, e al di là dell'omicidio sacrificale/virtuale che ho commesso stasera), è un rischio che dobbiamo correre. C'è gente che si offende a chiamarla per nome.

Ma per favore, vogliateci bene lo stesso, e, vivaiddio, ricordateci come santi bevitori.

martedì 20 gennaio 2009

Un futuro da tagliatori di cipolle.


Bene. Non si sa dove andremo a finire (a Pratha?) con questo spazio, ancora i server non sono saturi delle importantissime informazioni che noi utenti gentilmente forniamo riempiendo i vostri cuori di gioia nel non leggerci, cari lettori.
Comunque sia, siccome il mio co-bloggher afferma che io sia la causa della formalizzazione di molti suoi problemi, allora formalizziamo, in un modo o nell'altro. Formalizziamo quello che forma non ha.
Purtroppo la distanza non ci permette di tenere aggiornato un quadernino cartaceo né il mouse ci permette di fare ritratti. Sicuramente non diventeremo famosi, perché come dice g.c., siamo giunti all'età in cui o si è già famosi o non lo saremo mai, ma sicuramente riempiremo il tempo, aumentando le nostre piccole ossessioni che ci accompagnano.
Ben contenti!

Un monde qui s'étend entre la solitude et les oignons.