martedì 27 gennaio 2009

Caso_

Non ho mai creduto davvero che esistesse il caso. Penso di aver riflettuto molto su come gli eventi si susseguano in maniera tale che tutto ciò che è accaduto è stato solo per portarmi a vivere questo momento.

Con questa idea sono tornato a casa, dopo aver visto per (quello che uno chiamerebbe, non essendolo) un puro caso un’esposizione temporanea al Centro Culturale di Belém. Avevo giurato che il Centre Pompidou sarebbe stato il mio ultimo museo, la collezione definitiva; alcuni, saputo del giuramento, mi hanno accusato di non essere abbastanza risoluto quando ho accettato di fare due passi al Museo di Arte Antica per vedere come i diavoli tentavano Sant’Antonio (l’altro). Colpito dai sensi di colpa e perché volevo dimostrare che sono capace di starmene almeno un mese saldo nelle mie risoluzioni, ho cercato un’alternativa a quelle stanze buie dove trasudano noie post-rinascimentali e, a dirla tutta, pure tanta incapacità. Non sono riuscito a rifiutare la gita nei sarcofagi dell’arte, ma il giorno dopo, preso spunto da quelle alternative non considerate, sono andato a vedere l’esposizione della collezione fotografica del BES (una banca, mecenate immateriale); niente di che, nulla che non si fosse già visto ma molte cose che fa sempre bene rivedere. Accanto, zitta zitta, la vera esposizione che mai avrei visitato – se non per una casualità.


Opere di gente molto divertente che avrebbero risolto diverse serate, tra cui spicca un’artista, Vieira da Silva. Hanno già scritto e detto molte cose sulla persona, e sull’opera. Io non lo sapevo, non la conoscevo (ma se è vero che non voglio neanche sapere se sia esistito un uomo prima di me, varrà pure per le donne).


Mi ha commosso il disperato tentativo, a tratti limpidamente riuscito, di dare un sentimento alla prospettiva. Non di avere una prospettiva dal sentimento; non si parla di punti di vista. Quello che lei ricerca nell’opera è proprio il significato artistico della prospettiva, senza alcun tipo di formalismi dell’organizzazione dello spazio. Prova a dare un valore artistico alle relazioni mere, utilizzando lo spazio della tela come vera finestra sull’io che interpreta soggettivamente la materia e lo spazio; e mentre rappresenta la relazione artistica, la crea. Gli schizzi, gli studi preparatori sono esemplari ed elucidanti.


Un’altra cosa va notata: la raffigurazione della massa. Della folla, si intende; una sineddoche non banale (perché l’uno della moltitudine di per se lo è divenuto) nella quale lo studio del sentimento della prospettiva cede il posto alla rappresentazione della coscienza. Come è stato scritto da altri, la coscienza è la dimenticanza tanto come il ricordo è memoria. La prima lavora per cercare di cancellare tutto ciò che ci può sorprendere, e questo, senza essere minimamente negativo (sempre che abbiate anche voi una morale provvisoria), si risolve nell’unità della folla di Vieira da Silva, un insieme che vive e muore assieme nella Rivoluzione Francese così come nella Guerra Mondiale. Per questo la città contemporanea non è il mostro agglomerante che spesso si pensa, ma è una comunità accogliente - per chi voglia delegarsi.


Questa riflessione mi si è presentata dopo che, per caso, ho letto Benjamin.

1 commento:

NêZ ha detto...

È inutile che ci provi. Anzi guarda: inaugurerò un museo in tua memoria, vuoto. Caso o non caso, qualcuno ci andrà, e ci sarà pure qualcuno che si metterà a girellare cercando almeno il bagno. L'ingresso (e l'uscita) saranno liberi, al massimo si accetteranno offerte per ripagare i peccati di gola delle terrazze dei Centri d'arte contemporanea. Un'opera (d'arte) buona.