lunedì 25 maggio 2009

Anticonformismo e Digestione




            :-  Ignoro l'ordine delle cose e penso che se ci fosse davvero un ordine sicuramente riuscirei a trovarlo!
Forse però il mio problema non è il mio senso di inadeguatezza rispetto al suddetto ordine, ma solamente un desiderio di astrattismo e anticonformismo che ai miei occhi, e agli occhi del mondo, ordinato o no che sia, rende la mia figura interessante proprio per il mio peculiare modo di esistere e di relazionarmi con tutta quella serie di banalità e semplificazioni che mi circondano e che spesso io riduco ad un'unica grande categoria che spesso chiamo umanità o, confondendomi, società. 
Certe volte ho l'impressione di non essere convincente, poi però se mi guardo da fuori e mi confronto mi convinco che comunque lo sono anche per il semplice fatto di aver scelto un paio di pantaloni di un certo colore rispetto ad un altro... è però possibile, chiedo io, essere convincenti credibili e capibili allo stesso tempo? Credo proprio di no! La cosa migliore da fare, forse, è non cercare di includere i miei traumi personali e non ancora superati, nel senso di non digeriti, non di dimenticati, per riuscire, forse a capire se questa condizione di estraneità nasce da una incapacità di "mangiare, metabolizzare e cagare", a favore di un "mangiare e vomitare". Mangiando e vomitando si è alternativi in tutti i sensi, forse, e per poco tempo, che non è il tempo della vita, ma quello della credibilità e dell' insoddisfazione. "




(M.M)

sabato 16 maggio 2009

Riflessione sul ricordo

La differenza, evidente, tra procedimento e oggetto sta nel divenire del primo opposto all’essere del secondo.
Il procedimento risente della finalità. Capaci di vedere il futuro, guardiamo con timore al passato poiché in esso vediamo il monito di quello che è stato, e non sarà più; e odiamo gli altri, i quali, non essendosi fermati nei migliori momenti della nostra vita che è stata, ci ricordano che questi non torneranno più. Grande invenzione, dunque, quella che ci permette di salvare in una immagine un momento, o un oggetto, che, fattosi forme e colori convenzionali, diventa rappresentazione del ricordo, presente oggi solo nella verità del pensiero ma non più in quella della materialità; da qui, la grandezza supposta della fotografia, in questa funzione di ricordo materialmente presente oggi al di fuori del nostro pensiero. Ma quanto misera questa grandezza, se fosse così ristretto il suo ventaglio di possibilità. Un uomo per bene non coltiverebbe mai questa tecnica sapendo che l’unico risultato che da quella potrà venire è una fittizia immagine di un ricordo.
E nemmeno lo farebbe per rappresentare il mondo materiale. Che senso ha ricopiare, al pari di un quadro ben fatto, l’istantaneo di un momento del mondo materiale? Anzi, su di una tela noi vediamo un qualcosa di diverso, rispetto all’istantaneo; noi vediamo accettate o discusse le convenzioni dell’osservazione, la spiegazione delle regole che l’occhio dovrà seguire perché nella mente si formi un referente dell’espresso, o le forzature di quelle. Ma ancora: se dovessimo dar retta a chi dice che la fotografia è la rappresentazione del reale così come è, cadremo già nell’errore di ritenere quella che è una rappresentazione fedele della percezione la realtà materiale, mentre la fotografia resta un insieme ordinabile di forme e colori, e non è se non un oggetto terzo.
Diranno ora: ma anche il fotografo più puro, se pure non cerca di ritoccare artificialmente i propri scatti, rappresenta la realtà così come lui la vede in un certo luogo e tempo. Ma dove, allora, l’interesse nel fingersi un altro per vedere una cosa che a questi piacque? E non sarebbe, forse, una comunicazione lineare, non complessa e quindi non artistica, in senso generale? Non è capace di stimolo artistico ciò che non è minimamente ambiguo; non lo è un messaggio decodificabile in maniera logicamente univoca, non lo è la comunicazione, così come non è una poesia un giornale in una edicola.
E quindi, un intervento sull’immagine è necessario. E il primo, che non ricorre a strumenti, ed è il più basilare, è la prospettiva, che non si trova se non nella mente dell’uomo come regola, prima che nell’oggetto fotografia. Poi i colori, la loro disposizione forzata o scelta, ma sempre calcolata, anche nello scartare o valorizzare uno scatto. Infine, bastando questi due elementi, la soggettività del fotografo nel procedimento sarà talmente marcante che nulla più di effettivamente reale – o piuttosto materiale terzo - apparirà nell’oggetto finale.
Questo resti come scontato; perché il punto è poi un altro, cioè se sia o non sial’arte della fotografia quella che, elaborando il reale, giunge al pensato inesistente nella materialità. E lo è, esclusivamente.

domenica 10 maggio 2009

Ci cerchiamo,
ci troviamo,
e quando siamo troppo simili
esplodiamo.