sabato 8 maggio 2010

Manifesto Forse (Manifiesto Tal Vez)

di Vicente Huidobro*


Nessun cammino vero ed una poesia scettica di se stessa
.

Quindi? Bisogna sempre cercare.

I miei nervi, sparsi in brividi, senza chitarra e senza inquietudine, la cosa concepita tanto lontano dalla poesia, rubare la neve al polo e la pipa al marinaio.

Qualche giorno dopo me ne rendo conto: il polo era una perla per la mia cravatta.

E gli Esploratori?

Si erano trasformati in poeti e cantavano in piedi sulle onde versate.

E i Poeti? Si erano trasformati in esploratori e cercavano vetri in gola agli usignoli.

Ecco perché Poeta equivale a vagabondo senza occupazione attiva, e Vagabondo equivale a Poeta senza occupazione passiva.



Soprattutto è bellissimo cantare o semplicemente parlare senza errori obbligatori, ma con qualche onda disciplinata.

Nessuna falsa elevazione: solo la verità, che è organica. Lasciamo il cielo agli astronomi, le cellule ai chimici. Il poeta non è sempre un telescopio che possa essere scambiato con il suo opposto, e se la stella scivola fino all’occhio da dentro il tubo, non è dovuto ad un ascensore bensì a una lente dell’immaginazione.

Nessuna macchina e nessuna cosa moderna di per sé. Nessun gulf-stream né cocktail, poiché il gulf-stream e il cocktail sono ormai più macchine di una locomotiva o di uno scafandro, e più moderni di New York e dei cataloghi.

Milano… Città ingenua, affaticata vergine delle Alpi, ma nonostante tutto vergine.



E IL GROSSO PERICOLO DELLA POESIA È IL POETICO

Ve lo dico, quindi: cerchiamo in altri posti, lontano dalla macchina e dall’aurora, e lontano tanto da New York che da Bisanzio.
Non aggiungete poesia a ciò che già ce l’ha senza dover ricorrere a voi. Il miele sul miele fa schifo.

Lasciar asciugare al sole il fumo delle fabbriche e i fazzoletti dell’addio.

Mettete le scarpe al chiaro di luna e poi ne parleremo, e, soprattutto, non dimenticate che il Vesuvio, nonostante il futurismo, è pieno di Gounod.

Joan Mirò, Paesaggio Catalano, 1923/24
(c) MoMA, New York

E l’imprevisto?

Senza dubbio, potrebbe essere qualcosa che si presenti con l’imparzialità di un gesto nato dalla sorte e non voluto, ma è troppo vicino all’istinto ed è, per cui, più animale che umano.

La sorte è un bene quando i dadi danno cinque assi o almeno quattro donne. Ma, fatti salvi questi casi, bisogna escluderla.

Nessuna poesia lasciata al caso; i tavoli verdi non sono quelli dei poeti.

E se la migliore poesia si può fare in gola, è perché la gola è il giusto mezzo tra il cuore e il cervello.

Fate poesia, ma non intorno alle cose. Inventatela.

Il poeta non deve essere strumento più di quanto non sia la natura; deve invece fare della natura uno strumento. È l’unica differenza che esiste rispetto alle vecchie scuole.

Ed ecco, ora, che il poeta vi apporta un fatto nuovo, assai semplice nella sua essenza, indipendente da qualsiasi altro fenomeno esterno, una creazione umana, assai pura e lavorata dal cervello con la pazienza di un’ostrica.

È una poesia, o forse qualcosa di diverso?

Importa poco.

Importa poco che la creatura sia un bambino o una bambina, avvocato, ingegnere o biologo, basta che sia.

È qualcosa che vive e che turba, rimanendo comunque, nel fondo, molto calmo.

Forse non è la solita poesia; ma almeno, è.

Così, primo effetto della poesia, trasfigurazione del nostro Cristo quotidiano, ingenuo disturbo, gli occhi si ingrandiscono sul bordo delle parole che scivolano, il cervello cala al petto e il cuore sale alla testa, senza smettere di essere cuore e cervello, con le loro facoltà essenziali; infine: rivoluzione totale. La terra ruota al contrario, il sole sorge ad occidente.

Dove siete?

Dove sono?

I punti cardinali si sono persi nel tumulto, come i quattro assi di un mazzo.

Joan Mirò, Composizione, 1933
(c) Kunstmuseum, Berna

Poi amiamo e ripudiamo, ma l’illusione ha avuto comode poltrone, l’astio ha trovato un treno buono e il cuore ha versato la sua boccetta di profumi incoscienti.

(L’amore e il ripudio non hanno importanza per il vero poeta, perché sa che il mondo va avanti da destra a sinistra e gli uomini da sinistra a destra. È la legge dell’equilibrio).

Poi, è la mia mano quella che vi ha guidato, quella che vi ha mostrato i passaggi voluti e fatto nascere un ruscello da un mandorlo senza bisogno di trafiggergli il costato.

E quando i dromedari della vostra immaginazione hanno voluto disperdersi, li ho mantenuti all’asciutto, meglio di un ladro nel deserto.

Nessun cammino indeciso!

O la borsa o la vita.

Questo è netto, chiaro. Nessuna interpretazione personale.

La borsa non vuol dire il cuore, né la vita gli occhi.

La borsa è la borsa e la vita è la vita.

Ogni verso è il vertice di un angolo che si chiude, non la punta di un angolo che si apre ai quattro venti.

La poesia, così come si mostra qui, non è realista ma umana.

Non è realista, però si fa realtà.

Realtà cosmica con atmosfera propria e, sicuramente, con terra e acqua, visto che acqua e terra li posseggono tutti i mondi che si rispettino.

Non bisogna cercare in quelle poesie il ricordo di cose viste, né la possibilità di vedere cose simili.

Una poesia è una poesia, così come un’arancia è un’arancia e non una mela.

In essa non troverete cose che esistono da prima né il contatto diretto con gli oggetti del mondo esteriore.

Il poeta non imiterà più la natura, visto che non si prende il diritto di plagiare Dio.

Lì troverete quello che non avete mai visto da altre parti: la poesia. Una canzone dell’uomo.

E di tutte le potenze umane, quella che più ci interessa è la potenza creatrice.




*Pubblicato inizialmente a Parigi,
nel febbraio 1924, come
"
Manifeste peut-être"
sulla rivista Création, n°3.
La versione utilizzata per la traduzione
all'italiano è tuttavia quella
in lingua spagnola.

2 commenti:

NêZ ha detto...

EcHi della tesi esi esi... esi

g.c. ha detto...

Eh sì!