lunedì 10 maggio 2010

Non serviam

di Vicente Huidobro*


Ed ecco che un bel mattino, dopo una notte di splendidi sogni e delicati incubi, il poeta si alza ed urla alla madre Natura: Non serviam.


Con tutta la forza dei suoi polmoni, un eco traduttore ed ottimista ripete in lontananza: “Non ti servirò”.

La madre Natura stava per fulminare il giovane poeta ribelle, quando egli, levandosi il cappello e facendo un gesto spiritoso, esclamò: “Sei una incantevole vecchietta”.

Quel non serviam è rimasto impresso in un mattino della storia del mondo. Non era un grido capriccioso, non era un atto di ribellione superficiale. Era il risultato di tutta una evoluzione, la somma di molteplici esperienze.



Il poeta, pienamente consapevole del suo passato e futuro, lanciava al mondo la dichiarazione della propria indipendenza dinanzi alla Natura.

Non vuole più servirla in qualità di schiavo.



Max Ernst, Max Ernst mostra ad una giovane la testa di suo padre, 1926/27
(c) ADAGP, Paris and DACS

Il poeta dice ai suoi fratelli: “Fino ad ora non abbiamo fatto altro che imitare il mondo nei vari aspetti, non abbiamo creato niente. Cosa è venuto fuori da noi che non fosse da prima immobile davanti a noi, che non avvolgesse i nostri occhi, sfidasse i nostri piedi o le nostre mani?

Abbiamo cantato la Natura (una cosa a cui lei fa ben poco caso). Non abbiamo mai creato realtà proprie, come lei fa o ha fatto in tempi passati, quando era giovane e piena di impulsi creativi.

Abbiamo accettato, senza ulteriori riflessioni, il fatto che non possa esistere altra realtà di quella che ci circonda, e non abbiamo pensato che anche noi possiamo creare realtà in un mondo nostro, in un mondo che attende la propria fauna e la propria flora. Flora e fauna che solo il poeta può creare, per questo dono speciale che la stessa madre Natura ha dato a lui, ed unicamente a lui.

Non serviam. Non sono obbligato ad essere tuo schiavo, madre Natura; sarò il tuo padrone. Ti servirai di me; va bene. Non voglio e non posso evitarlo; ma anch’io mi servirò di te. Avrò i miei alberi che non saranno come i tuoi, avrò le mie montagne, avrò i miei fiumi ed i miei mari, avrò il mio cielo e le mie stelle.

E non potrai più dirmi: “Quell’albero non va bene, non mi piace quel cielo…, i miei sono migliori”. Io ti risponderò che i miei cieli ed i miei alberi sono i miei e non i tuoi e che non devono mica assomigliarsi. Non potrai più umiliare nessuno con le tue pretese esagerate, da vecchia decrepita e viziata. Ormai sfuggiamo alla tua trappola.

Addio, vecchietta incantevole; addio, madre e matrigna: non rinnego gli anni di schiavitù al tuo servizio, né ti maledico per questi. Essi sono stati un insegnamento davvero magnifico. L’unica cosa che desidero è non dimenticare mai le tue lezioni, ma ormai ho l’età per camminare da solo in questi mondi. Nel tuo e nei miei.

Una nuova epoca inizia. Aprendo le sue porte di diaspro, poggio un ginocchio a terra e ti saluto molto rispettosamente.




*Sebbene non esistano
prove bibliografiche sicure,
si ritiene che del testo
sia stata data lettura
dall'autore nell'Università
di Santiago, nel 1914.

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