giovedì 13 maggio 2010

Il Futurismo

di Vicente Huidobro*

Ed ecco che un bel giorno a quel signore di Marinetti è venuto in mente di proclamare una nuova scuola: Il Futurismo.

Nuova? No.

Prima di lui l’aveva proclamato un mallorchino, Gabriel Alomar, ammirabile poeta e sagace pensatore.

E prima di Alomar lo proclamò un americano, Armando Vasseur, il cui auguralismo non è altro, in fondo, che la teoria futurista.

Pertanto il futurismo è americano. In ognuno dei grandi canti di Vasseur vibra il clarino futurista, in ognuno brucia il fuoco di potenza, vigore e movimento strombazzato oggi da Marinetti.

Le dottrine del signor Marinetti, che è senza dubbio un grande poeta ed un abile prosatore, come dimostrano la sua Ode all’Automobile da corsa ed il suo vibrante manifesto, sono le seguenti**:


1°. Vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e la temerarietà.

2°. Gli elementi essenziali della nostra poesia saranno il valore, l’audacia e la temerarietà.

3°. Posto che la letteratura ha glorificato fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno, noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo ginnico, il salto pericoloso, il pugno e lo schiaffo.

Tato (Guglielmo Sansoni), Incontro di Boxe, 1925
da www.futur-ism.it

4°. Non abbiamo problemi a dichiarare che lo splendore del mondo si sia arricchito di una nuova bellezza: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa, con il suo cofano adorno di grossi tubi, che si direbbero serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile da corsa che, correndo su una mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.

5°. Vogliamo cantare l’uomo che domina il volante il cui asse ideale attraversa la terra, lanciata nel circuito della sua orbita.
6°. È necessario che l’uomo si impegni con calore, energia e con prodigalità per aumentare il fervore entusiasta degli elementi primordiali.

7°. Ormai non c’è più bellezza se non nella lotta, né capolavori che non abbiano un carattere aggressivo. La poesia deve essere un violento assalto contro le forze sconosciute affinché si arrendano dinanzi all’uomo.

8°. Siamo sul promontorio più alto dei secoli… Perché guardare indietro, dal momento che ci è necessario rompere i veli misteriosi dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio sono morti ieri. Viviamo ormai nell’assoluto, giacché abbiamo creato l’eterna velocità onnipresente.

9°. Vogliamo glorificare la guerra - unica igiene del mondo - , il
militarismo, il patriottismo, l’azione distruttrice degli anarchici, le belle Idee che uccidono e il disprezzo della donna.

10°. Desideriamo distruggere i musei e le biblioteche, combattere la moralità e tutte le codardie opportuniste e utilitaristiche.

11°. Canteremo le grandi moltitudini agitate dal lavoro, dal piacere o dalla ribellione; le risacche multicolore e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; la vibrazione notturna degli arsenali e i cantieri sotto la loro violente lune elettriche; le ingorde stazioni che ingoiano serpenti fumanti; le fabbriche appese alle nuvole dalle piroette dei loro fumi; i ponti, come salti di ginnasti tesi sulle diaboliche correnti dei fiumi bagnati dal sole; i battelli avventurosi che fiutano l’orizzonte; le locomotive dall’ampio petto che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati da lunghi tubi, e il volo di aeroplani che scivolano e la cui elica garrisce come bandiera, e applaude come una moltitudine entusiasta.

Tutto questo cantare la temerarietà, il valore, l’audacia, il passo ginnico, lo schiaffo, è fin troppo vecchio. Legga altrimenti, il signor Marinetti, l’Odissea e l’Iliade, l’Eneide o qualsiasi Ode di Pindaro per i vincitori dei giochi olimpici e lì troverà tutta la sua grande novità.

E poi, il dichiarare guerra alla donna, che, oltre ad essere una codardia impropria di uomini tanto vigorosi come i futuristi, è davvero ridicola.
Come ha detto molto giustamente Rubén Darío, cosa è più bello, una donna nuda o la tempesta? Un giglio o una cannonata?

Tuttavia il signor Marinetti preferisce una automobile alla pagana nudità di una donna. Una qualità del bambino piccolo: il trenino viene prima di tutto. Agú Marinetti.
Marinetti preferisce una fabbrica ad un museo pieno di bei quadri… (senza contare quelli cubisti).

L’unica cosa in cui sono d’accordo con Marinetti è la proclamazione del verso libero. E questo prima lo hanno fatto meravigliosamente Maria Krysisnka, Gustave Kahn e Vielé-Griffin.

(Alcuni fanno confusione con il verso libero francese, a cui qui si fa riferimento, e che è una miscela di ritmi armoniosa nel suo insieme e di versi perfettamente rimati in consonanza o assonanza, con il verso libre o blanco spagnolo, che è sempre delle stesso numero di sillabe e senza rima).

Non si può negare che esista alla fine di tutto questo un furibondo anelare di ribellione, assai plausibile.

Era necessaria una rivoluzione contro tali imbecilli, che trattano come eresia tutte le opinioni che non si adeguino alle loro idee incasellate nel cervello, ben inquadrate e tradizionaliste.

E noi proclamiamo il verso libero anche se Verlaine ha d
etto a Maria Krysinska: questo ai miei tempi si chiamava prosa.

Ciò che è lirico e armonico sarà comunque verso, nonostante Verlaine e tutto il resto del mondo.
Il verso libero ha rotto solo con il superato e monotono ritmo antico. Dire che esso non è un vero verso, sarebbe quasi come dire che non è vera musica la musica wagneriana o, meglio, quella di Debussy.

Ciò non significa che il verso antico non possa essere pieno di incanto e di armonia.

Gabriel Alomar racchiuse l’idea di futurista piuttosto nella personalizzazione, nell’individualità che non ha paura di manifestarsi così com’è, in un parola, nell’io inconfondibile. Per cui la dottrina di Alomar arriva a negare tutte le scuole.

Non così Marinetti, che ha istituito il Futurismo in una vera scuola e che, per questo, non da la dovuta importanza all’io. È deplorevole.

Alomar indovina il futurista nell’uomo che sente un grande impulso dell’oltre, del sovrasensibile, dell’ultraspirituale che gli soffia scintille di vita nuova. La speranza dell’avvento di una umanità migliore.

Alomar dice: “Il Futurismo non è un sistema occasionale o una scuola del momento, propria delle decadenze o delle transizioni, no: è una intera selezione umana, che rinnova attraverso i secoli il proprio credo e i propri ideali, inculcandoli sul mondo in un apostolato eterno. È, in definitiva, la convivenza con le generazioni future, la previsione, il presentimento, la credenza previa delle formule future”.

Il Futurismo di Marinetti è, senza dubbio, più impulsivo, più declamato, più folle. Marinetti grida: Finalmente, la mitologia e l’ideale mistico sono s
uperati.
… Ma noi non vogliamo più sapere del pasato, noi, giovani e forti futuristi***.

Tato (Guglielmo Sansoni), La Marcia su Roma, 1922
da www.futur-ism.it

Quello di Alomar è più ragionato, meno da réclame e più serenamente logico.

Ma è a Vasseur che va la gloria di essere il primo futurista… Quale gloria!

Egli enunciò, molto prima degli altri due, più o meno la stessa idea tanto decantata, solo che lui la chiamò auguralismo:

“Per il poeta augurale, come il filosofo pragmatico, l’essenziale non è il passato stratificato in fatti, ma il divenire, e di questo, l’atto di creazione, di rinnovazione, più che quello di cristallizzazione, ciò che inizia ad essere, ciò che sarà, non ciò che già è”.

Tutto è lo stesso con parole differenti, con maggiore o minore chiarezza, con più o meno arte fraseologica, in base a chi parla.

Marinetti ha saputo farsi più pubblicità, pienarsi di discepoli e far discutere dove passa.

Tra i suoi discepoli, i più notevoli sono Lucini, Paolo Buzzi, Palazzeschi, Jovoni, Cavacchioli e alcuni altri.

Marinetti è indiscutibilmente un grande poeta e un grande scrittore; è l’autore di “Le Roi Bombance”, un groviglio di quanto esista di più comico e tragico; di Mafarka, il romanzo più brutalmente immorale che mi sia passato per le mani. Quelle scene di guerra d’Africa, in Abissinia, fanno ribrezzo. Uno dei suoi libri in versi si chiama “La Conquista delle Stelle” e l’altro “Poupées Électriques”.

Nel manifesto che abbiamo commentato si può vedere la sua maniera di scrivere rapida, nervosa e vibrante.

La sua poesia “A Mon Pegase”, l’automobile, comincia così:

Dieu véhément d’une race d’acier,
Automobile ivre d’espace,
Qui plétines d’angoisse, le mors aux dents stridentes!
O formidabile monstre japonais aux yeux de forge…
………………………………………………………………………………****

Uno dei suoi discepoli, Cavacchioli, nel suo libro Le Ranocchie Turchine, ha cose belle di questo tipo:

Lenta accozzaglia di gnomi, di tutti i colori, di tutti
i generi, lividi e brutti, con grandi e piccoli nomi, satella,
e ride una vecchia carcassa di vecchio cavallo sdentato
che giace pel mezzo di un prato, sul grano che scatta e s’abassa al ritmo d’una tarantella***.




*Il testo, risalente alla prima
metà degli anni '10,
è in ampia sintonia con il pensiero
comune sudamericano, che rifiuta
sin da principio il futurismo.

** Huidobro legge probabilmente
il manifesto in francese, secondo quanto
si può evincere dalle soluzioni
sintattiche che adopera.
Traduciamo per tanto dallo spagnolo all'italiano,
per evitare di perdere certe soluzioni
brusche che tradiscono, seppur minimamente,
un sentimento di avversione
al Manifesto stesso.
Sì, traduciamo in italiano un testo in spagnolo,
che è traduzione dal francese
di un testo che esiste in italiano;
e allora!
Sperimentazione.

*** in italiano nel testo originale, refusi compresi.

**** in francese nel testo originale.

4 commenti:

NêZ ha detto...

Moto pigro.

Culo, aggiusta la formattaZione, lo sai che so' fissata. Come mi disse qualcuno una volta "Io qui il mio nome non ce lo metto". Ma non prenderla manco tanto drasticamente.
Altrimenti ti avrei potuto mandare un sms alle 6h30.

g.c. ha detto...

Ho sistemato tutto a parte le note. O mi volevi far notare proprio le note?

NêZ ha detto...

Via giù, sono stata già abbastanza fastidiosa. Ma sai, è il mio mestiere. Poi mi troverò anche qualcosa da fare.
No, le note non c'entrano: c'è solo un da capo di troppo o di troppo poco qua e là, ma non voglio dirtelo: può essere anche una scelta.
Ciao Capino, il tono dei miei appunti non è dispotico e non vuole portare al cambiamento del testo: te l'avrei detto se fossi stato qui di persona e sarebbe suonato normale.

g.c. ha detto...

No, infatti avevi ragione e ho trovato ben tre pecche che non erano soluzioni stilistiche.
Ogni appunto è dovere.