mercoledì 28 luglio 2010

Lettera ad Hans Arp

In attesa della revisione della traduzione completa delle tre novelle esemplari di cui parla Huidobro in questa lettera ad Hans Arp, pare giusto pubblicare la lettera medesima. I due amici scrissero le opere in collaborazione; in esse si respira il cubismo un po' stantio, il surrealismo già abusato e anche un po' di Dada - datato. Ma meritano di essere lette lo stesso.


Novela in spagnolo vuol dire romanzo, tanto per esere philologically correct. E per correttezza storica e letteraria, d'altro canto, va detto che di novelle esemplari la letteratura in lingua spagnola ne aveva già una dozzina.

Più intimamente, l'autorità del cileno ci serva a giustificare i nostri ding, la nostra esperienza di blog collettivo e l'insuccesso non più tanto evidente dei nostri post. 


Huidobro secondo Harp, 1931 ca.
(trovato in giro per internet)


Palma di Mallorca, agosto 1932

Egregio Hans Arp

Caro Hans:
approfittando della mia permanenza a Barcellona, di strada per Mallorca - dove passerò le vacanze - ho consegnato ad un editore le nostre Tre Novelle Esemplari. L’editore le ha trovate brevi per farne un libro e mi sono visto obbligato io solo a scriverne altre due. Queste due, che ho intitolato Due esemplari di Novella, te le dedicherò in ricordo di quelle vacanze che passammo insieme ad Arcachon e di quelle notti in cui al momento del dolce ci intrattenevamo a scrivere insieme le tre novelle tanto esemplari che stanno all’inizio di questo libro. Conservo il ricordo delle tue risate e ancora mi pare di vedere quei lampi repentini che illuminavano i nostri occhi in certi momenti.

Ho sempre ritenuto impossibile scrivere un libro in collaborazione con qualcuno e poter accordare i miei strumenti con quelli dell’altro. Con te la cosa è andata tanto bene che non so spiegarmene il perché, se non per una certa fratellanza di spirito che è sicuramente la ragione per la quale la nostra amicizia è stata sempre solida e senza macchie.

Molti diranno, leggendo queste pagine, che noi sappiamo solo ridere. Ignorano ciò che la risata significa, ignorano la potenza di evasione che è in essa. Credono che un poeta non possa avere più di un aspetto; hanno un’anima monocorde e giudicano gli altri così, come sono loro.

Queste pagine non corrispondono, è chiaro, a tutta la nostra opera né a tutto il nostro integrale essere. Sono solo una sfaccettatura del nostro spirito e mal ci giudicherebbe chi solo attraverso di esse volesse vederci. Tuttavia, in loro c’è più che risate e burle.

Nella mia opera teatrale Gilles de Raiz c’è una scena in cui Gilles dice: “Se non ridesse in questo momento, il mio cervello esploderebbe”. Per quanti uomini la risata è una valvola di sfogo salvifica come lo è il pianto. Quante volte saremmo esplosi se non avessimo riso. L’anima popolare, che possiede tante intuizioni, lo ha indicato in due dei suoi detti più ricorrenti: “Scoppiò a ridere. Scoppiò a piangere”. Quelle frasi racchiudono in sé un concetto più profondo di quanto non credano e di quanto la gente non gli attribuisca; tanto profondo che non gli si nota. Significa che a volte scoppiamo a ridere o a piangere per non esplodere. Sono sicuro che un giorno la scienza potrà provare la mia affermazione.

Ma credi che valga la pena spiegarsi e spiegare le nostre opere a scanso di possibili equivoci? Sappiamo che nessuno può limitare il nostro campo e che l’apprezzamento altrui significa solo una pietra o un fiore in mezzo a un continente o a un pianeta. La poesia non è obbligata ad essere ciò che certi signori vogliono che sia o credono che sia, ne ciò che essi vedono in lei.

Un abbraccio dal tuo vecchio amico che ti vuol bene e ti ricorda costantemente,

Vicente Huidobro

1 commento:

NêZ ha detto...

Ghighii!!
Da notare l'orario di pubblicazione, per non fare a cozzi con M.M.

" [...] il surrealismo già abusato e anche un po' di Dada - dadato."