giovedì 16 settembre 2010

SULL'ACCADEMIA

(dal Manifesto del Ding, ora che inizia l'anno scolastico)

SULL'ACCADEMIA


Ci sembra opportuno iniziare dalla scomposizione voire vivisezione del termine: H / dé / mia: Acca - da non capire un'acca -, dé (intercalare livornese), mia, la vita e le scelte. Fuori di qui gli ampollosi, i capelli brizzolati, la sciarpina di cachemere (che tanto ricorda il cauchemar) adagiata sul collo preferibilmente color panna (la sciarpina, non il collo) la montatura tonda degli occhiali.
Detto questo è giunta l'ora di annunciare agli accademici che:
* si vede benissimo che usate la lacca (Laccademia) e non solo per gonfiarvi i capelli, non c'è niente di spontaneo in voi;

* siete i detentori della verità al di fuori di voi stessi, quindi sbagliati per nostro principio;

* preghiamo voi membri dell'Accademia di cessare la vostra attività claustrofobica di gareggiare per partecipazione ad eventi sedicenti importanti in cui il premio va a chi ha usato il linguaggio in maniera più oscura: cadete in contraddizione poiché se detenete una verità al di fuori di voi risulta meno complicato sia formalizzarla che spiegarla. Chi è il furbo a questo punto?

* Non crediamo al vostro "Sarò breve". Menzogne.

* La vostra è un'attività del tutto artificiale in cui non c'è niente che riguardi VOI STESSI, intesi come una mente-capo contornata da un corpo materiale, se non i vostri stereotipi da intellettuali che lasciano il tempo che trovano (e sono spesso molte ore, yawn).

* Noi non vogliamo essere formalmente contrari all’Accademia, pur essendolo sostanzialmente. Crediamo che per esprimere il nostro senZo di malessere nei confronti di questa istituzione non servano strumenti di contrasto – banale sarebbe negare la possibilità della correlazione, e non vogliamo ridurci a farlo, confidando in voi – perché esso in qualche modo ci fa accettare la differenza, e pone in atto un dialogo anche aspro;

* noi non dobbiamo parlare con l’Accademia, noi dobbiamo utilizzare quelle che essa considera armi come strumenti. Ergendosi a norma, gli accademici credono di poter plasmare la società in cui vivono, e di avere effetto sulle generazioni future per il merito della loro stessa sostanza – o presunta tale. Presuntuosi, Presunti untuosi, porchettari. Giammai: essi sono la descrizione e la rappresentazione supposta futura della morale, contro la quale noi andiamo sicuri della nostra convinzione di libertà. Loro descrivono una situazione, e noi attraverso la nostra aZione dimostriamo che la descrizione è fallace perché limitata, o campionaria, o statistica. Perché:

1. Limitate sono le fonti a cui si attinge, e vi si attinge con l’idea che siano le uniche (nessuno di noi vi crede quando dite che conoscete i vostri limiti; la vostra arroganza non ha limiti neanche nel pudore);

2. Estraete i vostri campioni, perché si riconosce alle fonti cui si attinge una diversa provenienza, che pur tuttavia assegnate a priori. Strutturalisti svergognati;

3. Le vostre statistiche non sono un dato reale, e questo lo sanno anche i bambini. Sono quello che dicono di essere, senza nascondersi: un dato statistico.

4. Se contrastassimo le arroganze con la forma, non avremmo che da perdere, accettando la vostra esistenza come altri da noi. Né vogliamo la vostra distruzione, perché la vostra diversità ci da l’onore dell’intelligenza, e la vostra imbecillità ci rende da sola meritevoli di quello che al momento nessuno ci tributa – ma la mancanza della rappresentazione della nostra essenza non è che un Adorno, e il non essere enfant prodige un sollievo (viviamo l’età in cui se non siamo ancora famosi non lo saremo mai, e resteremo soltanto affamati). Siamo pacifici, siamo disposti alla benevolenza e la nostra è veramente una condizione dell’animo, e le nostre citazioni pungono ma non vogliamo svelarvele;

5. Vogliamo contrastarvi con la differenza, perché crediamo che l’evidenza possa essere negata ma non perda la sua forza. L’essenza del vero rimane anche negandolo, e la negazione che fareste voi accademici sarebbe un tentativo non pacifico di cambiare il corso degli eventi che irrimediabilmente vi celebra nel presente e vi condanna dal futuro nel vostro passato; siete la rappresentazione del presente, nella sua accezione di limitatezza. Restate nel finito, noi tendiamo il nostro pensiero, e il nostro sforzo, al non finito, all’imperfetto, al pensabile più che al pensiero pensato. Diciamo tutto il dicibile, dalla A alla Zeta; svoltiamo a poco a poco, ci allontaniamo discretamente dai vostri dettami, e quando saranno passati cinque minuti o dieci paragrafi, noi saremo evidentemente in ragione;

6. La critica ha in se il senso della morte, perché parla al passato di un corpo presente. Ne fa la cerimonia funebre, e chi vuol essere nella bocca del prete al momento della predica, al funerale? Alcuni vorranno l’esaltazione delle loro virtù in morte, noi vogliamo quella della verità del nostro pensato in vita. Pare che sia falsa la notizia secondo cui le Università che più pullulano di cadaveri siano quelle di Medicina: nelle nostre biblioteche abbiamo visto morti di ogni tipo ammonirci con parole moraleggianti (che, manco a dirlo, sono rimaste parola morta). Touché, e con che bassi medii. Saggi saggi, se così la vedete: spazio riempito della materia, per noialtri; e con la peggiore pretesa, quella di sostituire con la materia le idee-cose che sono tante volte più grandi quando le pensiamo.

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