venerdì 10 settembre 2010

Ding de dingue (post che prelude)

Si potrebbe molto sensatamente pensare che non il ding sia l'antifona di qualcosa di successivo, magari più importante e più sonoro; di un più sonoro dong, o che legandosi le gutturali ne riesca un din(g)don(g)dan(g)||

E ancor più con senso, e le persone di maggior sensibilità ancora prima delle altre, riuscire a comporre sopra il Ding (quello maiuscolo) intere sinfonie di significati. E poi chiedersi cosa cambi tra senso e significato, e se il primo è davvero la chiave del secondo.


Il Ding è però una rottura soltanto, una ferita, una soluzione di continuità tra il tessuto della norma e della regola, specialmente grammaticale. Come la ferita può essere descritto, ma tra il bambino che ha avuto il ginocchio sgusciato e il dottore che lo cura dovreste da soli capire la differenza. Eh, non siamo per la poetica dei fanciulli, con quanto orrendo è poi il suono di questa parola - fanciullo, ma che è? Soprattutto chi parla così? Però, sempre sulla ferita, nonostante tutto il bambino tornerà cento volte a brasarsi le gambine; qualcosa vorrà pure dire.

Ho anche sviluppato l'idea che il ding sia paragonabile ad un incidente di percorso, e il suono infatti rimanda alle chiavi che cadono a terra; dico chiavi e non monete perchè è cosa nota a tutti e chiara come il sole che se un soldino cade per terra non si tratta di incidente, bensì di un segno. E noi un segno, linguistico e non, mai lo considereremmo un incidente.

Tuttavia, incidente come momento di rottura della logica che guida le nostre azioni; e anche un momento di nostalgia profonda, come questo medesimo, adesso.

A presto qualcosa di dingue, per capirlo meglio.

1 commento:

NêZ ha detto...

MIRACOLO!
Allora vedi! Anzi, lungimiri!