sabato 10 aprile 2010

I Passi Perduti - Relazione di un congresso - Parte II

§2. È opportuno intanto evidenziare l’accordo e la più che segreta disciplina in cui si sono svolti i lavori.

In effetti, trattandosi di un avvenimento che ha riunito rappresentanti di tante e tanto differenti nazioni
era impressionante osservare la precisione con la quale i congressisti si disponevano e si distinguevano tra di loro nonostante non si vedessero
tanto più che avevano dispensato, motu proprio, tutti quei servizi e quei funzionari che abitualmente prestano assistenza in queste assemblee.



Nel vedere come entravano nel palazzo guidati dai cani si aveva la sensazione che fossero inviati di chissà quali mondi, prescelti da un misterioso mandato che li induceva a riunirsi. Da parte mia, non mi sarei meravigliato se uno stormo di nobili corvi fosse venuto a sorvolarli (corvi e occhi morti hanno sempre formato una strana alleanza) e che, una volta arrivati al santuario della Cultura, avessero invaso i grandi corridoi per un saluto di congedo. Invece no. Una grande serenità accompagnava i ciechi consacrati, tanto grande e tanto partecipata che, non appena arrivarono, lo splendore dei marmi e lo stridore dei cristalli, come se avessero perduto l’imponenza, si rinchiusero in una soavità da meditazione. Mi resi conto allora che quelle creature nobilissime erano presenze, non figure. E che la cecità che li animava faceva sì che noi stessi gli annullassimo i tratti reali. Si muovevano, Eccellenza, alla stregua degli apostoli, o meglio ad limina apostolorum, per usare una espressione degli antichi.

So bene che potranno figurare come inopportuni questi considerando personali in materia di servizio e competenza. Tuttavia, se li faccio, piuttosto che per semplice informazione, è per il desiderio di trasmettere, nella sua completezza, la verità dei fatti a cui ho avuto il privilegio di presenziare, che sono, nella loro essenza, troppo perturbatori per rientrare nei limiti di un racconto circostanziato. E posto ciò, proseguo.

Conforme a quanto già riferito, il personale del palazzo rimase praticamente inattivo per tutti e tre i giorni del Congresso, circostanza che creava un contorno assai singolare agli avvenimenti che lì si svolgevano. Fissi ai loro posti, i portieri in livrea, le segretarie fin-de-siècle e gli inservienti del buffet osservavano una immobilità rassegnata, come se fossero sonnambuli. Quanto agli interpreti, suppongo che ripararono in un ripostiglio del palazzo, poichè la vastissima cultura dei congressisti li rendeva inutili.

In realtà i ciechi comunicavano tra di loro in dialetti e cabale erudite che variavano a seconda della regione e dell’epoca storica dei temi che esaminavano, praticando così le lingue correnti non nelle loro forme convenzionali, ma nelle espressioni più intime che gli avessero dato forma. Diciamo che parlavano in braille – tanto per dare una idea; e così si riunivano tra di loro (sotto la presenza tutelare di Lady Hackett) senza qualsivoglia elemento estraneo che prendesse nota del discorso, svilendolo. Riguardo a ciò, nei saloni delle armature o nei rispettabili corridoi di marmo, i cani guida aspettavano di andare a recuperarli al Magnum Auditorium negli intervalli tra le sessioni.


Questi cani, detto per inciso, si comportavano con la stessa solitaria mitezza e con la stessa precisione d’istinto dei padroni. Più che cani per ciechi erano cani segretari, tanta era l’identificazione che provavano con i padroni, e ostentavano sul collare il biglietto del congressista corrispondente,

Prof. T. Mikkelsen – Danimarca
Prof. Irving – USA
Dr. Ion Sturdza – Transilvania
Rev. Aquino – Filippine
Mestre Feliciano Castilho – Portogallo
Sir John, Hon. D. Litt. – Inghilterra
Prof.ssa Zikhova – Bulgaria
Eccetera,

tutti quanti, da guardia o di razza, pastori o borghesi, uniti da una missione superiore. Passeggiavano nel più grande silenzio tra le maestose pareti rivestite di tele bibliche e si sdraiavano negli angoli, cullati dalle voci degli oratori che gli giungevano dal Magnum Auditorium, in un parlare segreto.

Spiccava per la sua leggendaria presenza un terrier anziano, l’onorevole Kum Dag Zong M.A., che immancabilmente prendeva posto nell’atrio principale, ai piedi della statua di Pallade. Di lui si dice che gli anni e il raccoglimento lo abbiamo reso cieco come il padrone, fatto che non ho potuto verificare, dato che per rispetto e naturale discrezione non mi sono avvicinato sufficientemente alla sua persona. So tuttavia che molti dei congressisti, molti dei cani, dico, soffrivano di cataratta gottosa e di ciò faccio menzione come cosa degna di riflessione, poiché si tratta di un duplice mistero, un cane cieco che guida un padrone cieco.

Da riferire anche la solennità dei modi che usavano gli uni con gli altri. Gli animali, beninteso. Avevano un comportamento distaccato e grave, ma ogni volta che si incrociavano accennavano un saluto di cortesia che consisteva nell’annusarsi, l’un l’altro e di sfuggita, nel posto in cui sono soliti. Non guaivano neppure (l’intimità con i maestri gli aveva fatto scordare la voce naturale), e alcuni di loro dissentivano, con la saggia moderazione di chi è interessato all’oratoria.

Ad un certo momento, tuttavia, nei taciturni animali si iniziava a cogliere una certa inquietudinee: di sicuro, dalla cadenza del discorso che gli giungeva dall’auditorium (non vedo altra spiegazione) capivano che la sessione si stava per concludere. E così, allo scrosciare dei primi applausi, ognuno di essi si trovava già ai piedi del suo padrone, per condurlo poi verso i corridoi e passeggiarlo davanti al silenzio dei portieri, delle segretarie fin-de-siècle e degli inservienti del buffet.

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