martedì 20 aprile 2010

La Fornace di Dario

Fatta eccezione per i luoghi comuni, difficilmente i luoghi si raccontano da soli; è necessario andarli a scovare.

Una fornace abbandonata è prima di tutto un luogo orfano, un relitto. Così come una nave che giace in fondo al mare, la vecchia fabbrica si nasconde allo sguardo, ma in senso lato poiché si manifesta ancora in tutta la sua mole e a differenza della carcassa marina si espone all’occhio umano, che reagisce il più delle volte con indifferenza o sdegno di fronte all’attuale inutilità della costruzione.

Una nave rimasta per secoli sul fondo del mare, inoltre, porta con sé un alone di mistero e, pur non custodendo un tesoro, l’enigma che la avvolge aiuta senz’ombra di dubbio ad alimentare anche la curiosità dei più disattenti. Come la maggior parte delle cose vecchie e inutili, invece, la fornace è stata consegnata all’inevitabile passare del tempo, è stata abbandonata, dimenticata. Eppure rimane là, ferma e immobile, disponibile allo sguardo. Si notano infatti i passaggi di tempo dentro all’edificio: scarpe, bottiglie, vestiti, addirittura un letto, dove forse qualcuno, dimenticato come la fornace, dorme ancora.


Due elementi che la fotografia convoglia sempre verso l'osservatore sono il concetto di tempo e spazio, e la capacità di testimoniare. La mostra di Dario Pichini riesce con poche foto a comunicare il senso dello scorrere del tempo racchiudendolo in una istantanea; le foto della vecchia Fornace di Chiusi non sono solo la testimonianza diretta del deterioramento della materia e della piccolezza dell'opera umana dinanzi agli anni, ma anche la loro unione. È, insomma, una riflessione più ampia sulla relazione che l'uomo instaura nel tempo con lo spazio che egli stesso costruisce. Non c'è tuttavia la presenza dell'essere umano, nelle dieci fotografie che fanno parte di questa piccola rassegna, eppure proprio attraverso l'assenza riusciamo a percepire la struttura e il fine di uno spazio pensato e costruito per essere vissuto nella forma più alta di vita, il lavoro, e per lo scopo più importante - ad oggi - di questo, che è la produzione.

Sebbene i paesaggi interni di Dario appaiano come un ammasso di rottami, da questi emergono squarci di umano, siano essi la ciminiera della fornace (che contestualizza) o gli oggetti di chi nel tempo è passato per i più disparati motivi per gli ampi stanzoni. Più che umano, antropico: perchè con questo termine si suggerisce più che l'essenza la possibilità dell'essere umano, con un sentimento di divenire che è ben descritto dalla stratificazione degli elementi catturati dalla macchina fotografica.

La testimonianza, a tratti commovente per i rimandi ad episodi storici che nulla hanno a che vedere con la struttura presa in esame, è significativa: mai diretta, anche questa, alla cosa in sé, ma fatta a partire da punti di vista diversi, reinterpretando lo spazio non per la funzione di allora ma per la suggestione agli occhi di un osservatore estraneo, terzo. Di certo non si possono non tenere in considerazione anche le sensazioni individuali che la serie di opere necessariamente evoca nell'osservatore: le atmosfere sono cupe e il senso di disagio non tarda ad appropriarsi del pubblico, anche ignaro del contesto. Forse perchè le fotografie utilizzano sapientemente il bianco e nero, in un forte contrasto rotto dagli elementi che emergono con forza dalle ombre o si stagliano dagli spazi luminosi del fuori che entra dentro l'edificio; ma non poteva essere diversa la scelta dei colori, poichè il messaggio che sembra più ricercato non è il disordine, ma la tensione tra gli spazi e i tempi. E la tensione crea sempre imbarazzi, paure, timori, in un osservatore non preparato alla vista di strutture non ordinate secondo "normativa vigente".

Lo sguardo che passa attraverso un vetro rotto può forse aiutare a capire quanto sia semplice trovare questi luoghi dimenticati, e quanto al tempo stesso sia difficile ricordare che è ancora possibile andarli a cercare. È per questo che la fotografia è spesso di grande aiuto, perché, allontanando lo sguardo dall’indifferenza, ovvero fermandolo, riesce a offrire ottimi spunti di riflessione. Possiamo con la fotografia avere la presunzione di impossessarci, anche solo per poco, di attimi di tempo. È con lo sguardo, ma soprattutto col pensiero, che si raccontano i luoghi.

Dario Pichini esporrà in Piazza Cesare Battisti, a Chiusi (Siena), nell'ambito della manifestazione Saperi & Sapori del Lago (domenica 25 aprile, anche alle sei).

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